La partnership tra Hanwha Ocean e Vatn Systems segna l’ingresso dell’intelligenza artificiale nella guerra sottomarina, con droni autonomi capaci di proteggere infrastrutture critiche e sorvegliare i fondali marini.
C’è una certa ironia, per chi si occupa di codice, nel guardare all’oceano.
Siamo abituati a pensare al cloud come a un’entità eterea e onnipresente, ma la spina dorsale fisica di internet — quella che permette a questo articolo di caricarsi sul vostro schermo — giace sul fondo del mare, vulnerabile e fredda, sotto forma di cavi in fibra ottica.
Fino a ieri, proteggere queste infrastrutture o pattugliare i confini marittimi era un affare per pochi: sottomarini nucleari grandi come palazzi e cacciatorpediniere che costano quanto il PIL di una piccola nazione.
Ma oggi, 10 dicembre 2025, la logica del software — scalabile, distribuita, modulare — ha fatto irruzione prepotente anche sotto il livello del mare.
L’annuncio della partnership tra il gigante sudcoreano Hanwha Ocean e la startup americana Vatn Systems non è il solito comunicato stampa da scorrere velocemente. È la certificazione industriale che la guerra navale e la sorveglianza sottomarina stanno abbandonando l’era dei mainframe per entrare in quella del calcolo distribuito.
L’accordo prevede lo sviluppo congiunto di veicoli sottomarini autonomi (AUV) da dispiegare non da navi militari specializzate, ma da comuni piattaforme commerciali.
Hanwha Ocean e Vatn Systems svilupperanno e costruiranno congiuntamente droni sottomarini autonomi pensati per proteggere infrastrutture critiche e monitorare i fondali, unendo la capacità cantieristica pesante di Seul con l’agilità algoritmica della Silicon Valley.
La mossa di Hanwha è tecnicamente affascinante perché rivela un cambio di paradigma: non serve più costruire lo scafo più resistente del mondo se puoi dispiegare cento piccoli droni sacrificabili che “parlano” tra loro.
L’industrializzazione della guerra sottomarina
Per capire perché questo accordo è rilevante, bisogna guardare sotto il cofano della tecnologia attuale.
I sottomarini tradizionali sono ciechi e sordi se non usano sonar attivi (che però rivelano la loro posizione) o passivi (che richiedono un silenzio assoluto). Inoltre, non possono essere ovunque. I droni di Vatn, in particolare il modello Skelmir S-6, risolvono questo problema di “copertura” applicando la logica degli sciami.
Non stiamo parlando di giocattoli telecomandati.
Sott’acqua le onde radio non penetrano; il WiFi muore dopo pochi centimetri e il GPS è inesistente. Un drone sottomarino deve essere veramente autonomo. Deve “sapere” dove si trova usando la navigazione inerziale (IMU) corretta da sensori visivi o magnetici, deve riconoscere un cavo tranciato o una mina senza chiamare casa, e deve decidere cosa fare.
Vatn porta in dote proprio questo stack software di navigazione in ambienti ostili, mentre Hanwha fornisce la “forza bruta” manifatturiera. È un approccio full-stack alla difesa marittima. Kim Dong-yeon, vicepresidente esecutivo di Hanwha Ocean, ha sintetizzato così la sinergia:
“Combinando l’esperienza di Hanwha Ocean nella costruzione navale e nei sistemi sottomarini con la tecnologia dei veicoli autonomi di Vatn, puntiamo a offrire una soluzione scalabile per gli alleati che necessitano di espandere rapidamente la consapevolezza del dominio sottomarino.”
— Kim Dong-yeon, Senior Executive Vice President presso Hanwha Ocean
La parola chiave qui è “scalabile”.
Fino a poco tempo fa, l’idea di produrre droni sottomarini in serie come si producono automobili era impensabile a causa dei costi e della complessità di impermeabilizzazione e gestione della pressione. Ma l’ingegnerizzazione moderna sta abbattendo queste barriere.
Per dare una prospettiva economica alla questione, basti pensare che Vatn Systems ha raccolto 60 milioni di dollari in un round di serie A proprio per portare questa tecnologia dalla fase di prototipo alla produzione di massa, una cifra che nel settore hardware è significativa e indica una maturità tecnologica pronta per l’impiego operativo.
Oltre il GPS: navigare al buio
Dal punto di vista prettamente ingegneristico, la sfida più elegante che queste due aziende stanno affrontando riguarda la persistenza.
Un drone, per quanto intelligente, è inutile se deve emergere ogni due ore per ricaricarsi o triangolare la posizione, esponendosi al nemico o alle intemperie.
Qui entra in gioco un pezzo del puzzle che spesso sfugge ai non addetti ai lavori: l’infrastruttura di ricarica. Non puoi mandare un tecnico a cambiare la batteria a 300 metri di profondità.
La soluzione adottata da Vatn, e che presumibilmente sarà integrata nella produzione Hanwha, si basa sul trasferimento di energia wireless sottomarino.
Niente connettori fisici che si corrodono con l’acqua salata, niente guarnizioni che cedono (i classici O-ring che sono l’incubo di ogni ingegnere meccanico).
Recentemente, Quaze Technologies e Vatn Systems hanno annunciato una partnership di sviluppo strategico per integrare sistemi di ricarica wireless “drop-in”. Questo trasforma i droni da semplici veicoli a veri e propri agenti residenti.
Immaginate delle “stazioni di servizio” sommerse dove lo sciame va a riposare a turno, permettendo una sorveglianza 24/7 di un gasdotto senza intervento umano per mesi. È l’equivalente sottomarino dei robot aspirapolvere che tornano alla base, ma con implicazioni geopolitiche enormi.
Alex Johnson, CEO di Vatn, ha sottolineato l’importanza dell’indipendenza dalla piattaforma di lancio, un concetto che nel software chiameremmo “platform agnostic”:
“I nostri veicoli sottomarini autonomi sono progettati per essere dispiegati da piattaforme commerciali esistenti, il che riduce drasticamente i costi e accelera la rapidità con cui i clienti possono ottenere una copertura persistente di asset critici sui fondali.”
— Alex Johnson, CEO di Vatn Systems
Questo dettaglio è cruciale.
Non serve una nave della Marina Militare per lanciare questi sistemi; basta un peschereccio modificato o una nave container. Abbassa la barriera d’ingresso per la guerra sottomarina e la sorveglianza, rendendo il mare un luogo molto più “affollato” di sensori intelligenti.
La democratizzazione della forza letale (e i suoi bug)
C’è però un rovescio della medaglia che va analizzato con onestà intellettuale.
Se da un lato la convergenza tra l’hardware massiccio coreano e il software agile americano promette di rendere i mari più sicuri (proteggendo i cavi dati e l’energia), dall’altro introduce nuove vulnerabilità sistemiche.
Quando si delega la decisione di navigazione e identificazione a un algoritmo “edge” (cioè che gira localmente sul drone, senza contatto col cloud), si deve avere una fiducia cieca nel codice. Un bug in un server web fa cadere un sito; un bug in uno sciame di droni armati o di sorveglianza in acque contestate può scatenare un incidente internazionale.
La “black box” dell’intelligenza artificiale applicata ai sistemi d’arma — o anche solo ai sistemi di deterrenza — rimane un problema aperto.
Come garantiamo che il drone riconosca la differenza tra un sottomarino ostile e un relitto civile in acque torbide, basandosi solo sui suoi sensori?
Inoltre, la strategia di Hanwha è aggressiva e onnicomprensiva. Non si limitano al sottomarino. Hanno accordi per droni aerei con General Atomics e per navi di superficie autonome con HavocAI. Stanno costruendo un ecosistema proprietario di “guerra senza equipaggio”.
Per un tecnico, l’integrazione verticale è affascinante; per un analista di difesa, solleva domande sulla concentrazione di potere tecnologico e sulla dipendenza da sistemi automatizzati che, per natura, possono essere ingannati (spoofing) o hackerati.
La democratizzazione della tecnologia sottomarina significa anche che il vantaggio asimmetrico delle grandi marine occidentali si sta erodendo. Se la tecnologia per costruire sciami efficaci diventa commerciale e relativamente economica (parliamo di costi inferiori di 10 volte rispetto ai sistemi tradizionali), il monopolio della forza sotto la superficie dell’oceano svanisce.
Ci troviamo di fronte a un classico dilemma dual-use. La stessa tecnologia che Hanwha e Vatn stanno industrializzando per proteggere i cavi che trasportano i nostri dati finanziari e le nostre chiamate Zoom può essere riconfigurata per negare l’accesso a intere aree di mare.
L’eleganza tecnica della soluzione — ricarica wireless, navigazione inerziale avanzata, produzione di massa — non deve distrarci dal fatto che stiamo rendendo il fondo dell’oceano un campo di battaglia sempre più automatizzato, dove le decisioni vengono prese in millisecondi da processori al silicio, lontano da qualsiasi supervisione umana diretta.
La trasparenza dell’acqua sta aumentando, ma quella delle decisioni algoritmiche resta, per ora, torbida.

