Il Paradosso della Silicon Valley: L’Energia Geotermica di Fervo per Alimentare l’IA di Google

Il Paradosso della Silicon Valley: L'Energia Geotermica di Fervo per Alimentare l'IA di Google

Mentre i data center consumano energia senza sosta, una startup reinventa la geotermia per alimentare il futuro digitale, aprendo nuove prospettive sull’energia “sempre disponibile”

C’è un paradosso silenzioso che sta attraversando la Silicon Valley, lontano dai riflettori delle presentazioni luccicanti di nuovi modelli di intelligenza artificiale.

Mentre i chip diventano esponenzialmente più potenti, la rete elettrica che dovrebbe alimentarli sta mostrando tutti i suoi anni. Abbiamo costruito il cervello digitale più avanzato della storia, ma stiamo cercando di tenerlo acceso con una presa di corrente che sfarfalla.

Il problema non è la mancanza di energia pulita in assoluto: il sole splende e il vento soffia, ma non a comando. E i data center, cuore pulsante dell’economia digitale, non dormono mai.

È qui che la storia di Fervo Energy e del suo abbraccio sempre più stretto con Google smette di essere una semplice notizia finanziaria e diventa un segnale di fumo – o meglio, di vapore – per il futuro dell’infrastruttura globale.

Non stiamo parlando del vecchio geotermico, quello che richiedeva la fortuna di trovarsi sopra un geyser naturale in Islanda o in Toscana. Stiamo parlando di ingegnerizzare la crosta terrestre per trasformarla in una batteria infinita.

Dal petrolio al vapore: un’eredità inaspettata

Per capire perché questa tecnologia è diversa, bisogna guardare al passato “sporco” dell’energia per salvare il suo futuro pulito.

Fervo Energy non ha inventato la ruota, ha semplicemente cambiato il veicolo su cui montarla. La loro intuizione è stata prendere le tecniche di perforazione orizzontale e di fratturazione idraulica (sì, il controverso fracking) perfezionate dall’industria del petrolio e del gas di scisto, e applicarle al calore terrestre.

Invece di cercare sacche d’acqua calda naturali, Fervo scava pozzi profondi nella roccia secca e bollente, inietta acqua per creare fratture e farla circolare, recuperandola poi in superficie sotto forma di vapore per far girare le turbine.

Tim Latimer spiega come l’applicazione di tecniche di perforazione del settore petrolifero sblocchi risorse prima inaccessibili, permettendo di generare energia carbon-free ovunque ci sia calore nel sottosuolo, non solo dove ci sono sorgenti termali.

L’uso della fibra ottica all’interno dei pozzi per monitorare in tempo reale flusso e temperatura è il tocco tech che mancava ai tentativi precedenti. È come passare dalla chirurgia esplorativa alla laparoscopia guidata da sensori: sai esattamente cosa sta succedendo là sotto.

Ma la vera magia non è tecnica, è economica. Utilizzando attrezzature standard dell’industria petrolifera, Fervo può abbattere i costi in modo drastico rispetto ai progetti geotermici su misura del passato.

Eppure, la tecnologia da sola non basta se non c’è qualcuno disposto a pagare il conto salato dell’innovazione.

Il prezzo della costanza: perché i data center hanno fame

Google non è entrata in questa partita per beneficenza ambientale. La sua strategia è dettata da una necessità operativa brutale.

L’azienda si è posta l’obiettivo, quasi fantascientifico, di operare con energia priva di carbonio 24 ore su 24, 7 giorni su 7, entro il 2030. Comprare crediti “verdi” per compensare le emissioni non basta più; serve elettroni puliti che scorrano nei server alle 3 di notte, quando i pannelli solari sono spenti e il vento magari non soffia.

Siamo entusiasti di rafforzare la nostra partnership con Fervo per dimostrare come la tecnologia geotermica di nuova generazione possa aiutarci a raggiungere i nostri obiettivi di energia carbon-free 24/7, aggiungendo al contempo nuova energia pulita e affidabile alla rete.

— Michael Terrell, Senior Director Energy and Climate presso Google

La distinzione cruciale qui è tra energia “rinnovabile” e energia “ferma” (firm power). Il solare è economico ma intermittente.

Il geotermico avanzato è costoso ma costante, comportandosi esattamente come una centrale a gas o a carbone, ma senza la ciminiera.

È il “carico di base” pulito che mancava all’appello. Proprio per questo motivo, Google sta esplorando il geotermico di nuova generazione per le sue infrastrutture, vedendo in progetti come Cape Station nello Utah non solo un esperimento, ma un pezzo fondamentale del puzzle per alimentare le sue cloud regions.

Cape Station è il banco di prova definitivo. Con l’obiettivo di immettere in rete i primi 100 MW entro il 2026 e scalare fino a 400-500 MW, stiamo parlando di una centrale che può competere in potenza con le infrastrutture tradizionali.

Non è più un progetto pilota nel deserto del Nevada; è una centrale elettrica industriale che deve dimostrare di poter stare in piedi finanziariamente.

Le ombre sotto terra: rischi e scommesse economiche

Tuttavia, dipingere tutto di rosa sarebbe un errore da principianti. Il percorso di Fervo e dei suoi finanziatori è disseminato di ostacoli che farebbero tremare i polsi a qualsiasi investitore avverso al rischio.

Il primo è il costo. Attualmente, il costo livellato dell’energia (LCOE) per questi sistemi avanzati è stimato essere circa il doppio rispetto al solare su larga scala. La scommessa è che l’industrializzazione del processo farà crollare i prezzi, esattamente come è successo con il fotovoltaico e le batterie al litio negli ultimi dieci anni.

C’è poi l’elefante nella stanza: la sismicità indotta. Iniettare fluidi ad alta pressione nelle rocce profonde è, per definizione, un’attività che altera gli equilibri geologici.

Anche se Fervo utilizza protocolli di monitoraggio avanzati (il famoso “protocollo del semaforo”) per fermarsi se la terra trema troppo, il rischio di micro-terremoti è intrinseco alla tecnologia. Convincere le comunità locali e i regolatori che il “fracking verde” è sicuro richiederà una trasparenza radicale che l’industria petrolifera raramente ha mostrato.

Nonostante queste incognite, il capitale affluisce. L’anno scorso Fervo ha raccolto circa 462 milioni di dollari in un round di serie E, una cifra che segnala come il mercato stia iniziando a credere che il gioco valga la candela. Gli investitori stanno scommettendo sul fatto che il valore di un elettrone “sempre disponibile” sarà molto più alto in una rete satura di rinnovabili intermittenti.

Se Cape Station riuscirà a rispettare le scadenze e i budget, potremmo assistere all’alba di una nuova era geologica, letteralmente.

Se fallirà, sarà un costoso promemoria di quanto sia difficile piegare la natura alle nostre esigenze di calcolo.

La domanda che resta sospesa nell’aria secca dello Utah non è se la tecnologia funzioni – quello è già stato dimostrato – ma se riusciremo a scalarla abbastanza velocemente da saziare la fame insaziabile delle nostre intelligenze artificiali senza compromettere la stabilità del pianeta che le ospita.

Autore

Marco Rossi

Giornalista tech con 10 anni di esperienza nel settore. Appassionato di innovazione e early adopter incallito. Ama raccontare come la tecnologia cambia la vita quotidiana delle persone.

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